lunedì 4 aprile 2011

Intorno alla fondazione della città dell'Aquila 3

... La narrazione verace dei fatti è quella del protostorico aquilano Buccio di Ranallo di Poppleto dell'Aquila: orbene egli ci fa conoscere che la magnanima impresa, favorita e benedetta dal pontefice Gregorio IX, venne allora ostacolata dai feudatari dei castelli circonvicini: essi, protetti dall'imperatore Federico II, temevano infatti che, se i loro vassalli fossero riusciti a costruirsi una città, non avrebbero più potuto tenerli soggetti.
Nondimeno questi primi proletari di nostra terra, eccitati si brillantemente dalle lettere apostoliche, andavano segretamente ripetendo: "O li metteremo sotto o moriremo a dolore". Novelli martiri della tirannide, per il vangelo della libertà, andarono congiurando ora nelle catacombe di S. Vittorino, ora in quelle di S. Giusta a Bazzano; finchè un di loro traditore, rivelò la congiura, e i signori si vendicarono mettendo a morte i congiurati e le loro donne e i loro piccoletti, gettandoli poi a pezzi nelle strade, ad esempio e terrore dei rivoltosi. Si ebbe l'effetto inverso: la voce del sangue commosse tutto il popolo e lo fece andare in crudeltà. Quasi tutti i castelli furono devastati dai villici, ed uccisi quei baroni e conti, regnicoli e tirannelli che non riuscirono a salvarsi con la fuga.
Compiuta la strage e sedato il tumulto, si pensò più seriamente che la città doveva essere costruita, e che l'unica via era quella di ricorrere nuovamente al Pontefice, allora Innocenzo IV, narrandogli l'accaduto. Per loro fortuna nella Curia Romana vi era per Cancelliere un loro conterraneo molto in vista e molto influente, Jacopo di Sinizzo, borgata questa, allora in piedi, presso S. Demetrio. La documentazione di questa seconda ambasciata al Papa non è giunta fino a noi, ma non abbiamo ragione alcuna di negar fede al nostro Buccio, il quale narra in dettaglio che l'ambasciata popolare venne di fatto accolta con grande onore sia dal Sinizzo che dal Pontefice, e che questi avrebbe indi scritte lettere commendatizie all'imperatore Corrado per la bisogna, con esito favorevole:
Re Corrado della Magna allora era Signore,
ad stantia dello  Papa accettò fareli honore,
concedette lo assenzio, le carti et lo favore;
perchè durò sì poco, fo in tristi punti et hore.
Tornata l'amasciata con sì bona novella
et referito allo popolo omne particella,
gridaro tucti insieme: "La cità facciamo bella,
che nulla nello regame non se apparecchie ad ella!".
Fecero la citade solliciti et uniti:
anni mille ducento cinquantaquattro giti.

L'anno 1254, dato anche dagli Annales Reatini, deve intendersi come data d'inaugurazione, giacchè la fondazione di Aquila va riportata alla fine dell'anno precedente. Infatti il 6 maggio 1253, fu pregato anche il Barone Tommaso Mareri perchè si adoperasse  "tam per se quam apud Regem ad costructionem civitatis faciendam"; e pare che questa stessa epoca vada assegnata all'ambasceria mandata al Pontefice per l'identico motivo... ...
Il nome dato alla città non fu certo ispirato all'Aquila imperiale di Federico II bensì ad Aquili, castello presso cui venne fabbricata; ciò chiaramente appare dalle menzionate lettere di Gregorio IX fin dal 1229, e lo attesta anche più chiaramente Buccio di Ranallo in questi versi:
Como abe nome Aquila dirovvilo de vero...
Dixero: "Come à nome questa villa ecco posta?
Acquile questa chiamase che sede in questa costa"
Et uno parlò fra li altri et fece questa proposta:
"Nome Aquila ponamoli", et ognuno se nci accosta.
Bernardino Cirillo, l'Antinori, il Leosini, ed ultimamente un moderno autore, mancando di fede al nostro Buccio e a tutti gli antichi cronisti aquilani, ritengono che nè Jacopo di Sinizzo, nè Innocenzo IV abbiano avuto parte alcuna nella fondazione di Aquila, e che tutta la gloria in riguardo spetti al Re Corrado IV, sollecitatovi da Tommaso Mareri: vi sono anzi di quelli che parlano della nostra città, fondata sul confine dello Stato Pontificio come "di baluardo contro le prepotenze papali" e credono tuttavia all'apocrifo diploma di fondazione attribuito a Federico II. Ebbene, niente di tutto questo: il racconto di Buccio di Ranallo, che conosceva le cose meglio dei recenti critici, può rimanere in piedi sicurissimamente. Tutta la loro argomentazione si fonda sul perenne dissidio della Santa Sede e Corrado, per cui (dicono essi), anche se Innocenzo IV avesse scritto al Re in favore della fondazione di Aquila, non sarebbe stato esaudito.
[continua]
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di P. Aniceto Chiappini (O.F.M.)
estratto dal Bullettino della R. Deputazione Abruzzese Di Storia Patria
Anno MCMXXXIX

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